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IL “BABELARE COMMOSSO” DI AMELIA ROSSELLI

IL “BABELARE COMMOSSO” DI AMELIA ROSSELLI

… L’irrequieta tensione conoscitiva che è dietro al fluire sismico magmatico delle parole de L’opera poetica (Mondadori) di Amelia Rosselli, non deve indurre all’idea d’indeterminatezza irrazionale: se “la vita è un largo esperimento per alcuni […]” e nella Libellula la poetessa conferma: “Io sono una che / sperimenta con la vita”, si comprende come la pratica compositiva, l’etnomusicologia e la frequentazione dell’avanguardia musicale postweberniana durante i corsi estivi di Darmstadt del 1961, incidano sull’orizzonte dello spazio metrico di Amelia Rosselli, offrendole l’esempio extraletterario di criterio sistematico di razionalizzazione strutturale. L’aspetto che più la accomuna al gruppo sperimentale di Darmstadt è la definizione, nell’ambito della composizione, di una struttura oggettiva che porti alle estreme conseguenze i principi della tecnica dodecafonica, assumendo il principio di serialità come regola costruttiva assoluta, espressione di una formula predeterminata e matematica, con cui dar corpo ad un linguaggio incontaminato e rivoluzionario che neghi la centralità dell’io. All’interno di questo progetto di rigore formale si fa spazio la ricerca linguistica che, liberatoria – “La lingua scuote nella sua bocca, uno sbatter d’ale / che è linguaggio” scrive Amelia Rosselli-, opera in tutt’altra direzione, scartando dalle costrizioni autoimposte col ricorso ai “lapsus”, invenzioni a sfondo trilingue (francese d’infanzia, italiano paterno ed inglese materno sono le tre lingue parlate dalla poetessa) che assecondano un ideale di linguaggio come riflesso dell’universalità delle strutture del pensiero: “La lingua in cui scrivo di volta in volta è una sola, mentre la mia esperienza sonora logica e associativa è certamente quella di molti popoli, e riflettibile in molte lingue. Ed è con questa preoccupazione ch’io mi misi ad un certo punto della mia adolescenza a cercare le forme universali”. L’ideale si traduce in una creazione del tutto nuova, una lingua radicalmente “altra”: “un babelare commosso”, che su una base linguistica italiana innesta i due idiomi francese ed inglese per sperimentare a tutti i livelli – fonetico, lessicale, sintattico, morfologico, semantico – come la lingua, in quanto sistema di segni in sé coerente ed autosufficiente, si presti ad essere interlinguisticamente manomessa. La “(de)costruzione sperimentale della voce lirica sotto la pressione di un linguaggio che è sempre pericolosamente diviso contro se stesso” è un’operazione che ha lo scopo di far implodere l’idioma dall’interno per stravolgerne la granitica convenzionalità di corpo codificato e normativo, minandone la capacità di rappresentazione univoca della realtà. …

Roberta Caiffa

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