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LA POESIA DI ALESSANDRO AGOSTINELLI

LA POESIA DI ALESSANDRO AGOSTINELLI

Se si dovesse tentare di definire il tratto fondamentale della poesia di Alessandro Agostinelli si potrebbe usare la parola “disponibilità”. In effetti, i testi di Poesie della Linea Orange (Edizioni ETS) sembrano aperti ad accogliere suggestioni diverse, qualche volta in apparenza inconciliabili, che però si possono fondere grazie a un continuo spostamento dei confini, una specie di incessante “rilancio” in una partita a poker. Non a caso il testo di apertura è un tipico catalogo: come da titolo di Coltrane, sono favorite things, sono tutte le cose che hanno potuto generare un’emozione, un ricordo, una forma di esperienza – perché, ci dice esplicitamente Agostinelli nella sua premessa, esperienza è tutto quello che si può raccontare. Colpisce però che nell’elenco i poeti siano tutto sommato pochi, e anche molto diversi tra loro (Dante, Mallarmé, Campana…), mentre risultano numerosissime le canzoni, nonché i film, i romanzi, i personaggi dello sport e dello spettacolo. Questa poesia non nasce, in prima battuta, da altra poesia ma da uno sguardo ampio, pronto a cogliere il poetico ovunque, attraverso sensazioni che possono emergere in qualunque circostanza e di fronte a qualunque thing: quindi il catalogo non può essere concluso, e invece segnala una ricerca incessante, “questo, quest’altro e così via”. Una concezione come questa si è concretizzata, nel tempo, in molte importanti iniziative che Agostinelli ha promosso per modificare il panorama un po’ monotono della lirica “ufficiale” italiana, riuscendo a far conoscere nuovi poeti sia nazionali che stranieri. La ricerca di tonalità inedite prosegue ora “in proprio” con la nuova raccolta, che manifesta appunto una notevole varietà di temi e di registri stilistici. Una nota dominante deriva dalla mescolanza di sogno-utopia e tendenza alla fuga. Sono elementi che, sommariamente, forniscono delle coordinate chiare: la cultura beat degli anni Cinquanta e Sessanta, molte volte evocata nei testi di Alessandro Agostinelli, si rianima qui non tanto nelle forme quanto nelle prospettive, nel desiderio di un desiderio che spesso pare il vero argomento di fondo. Ma questa propensione non elimina il confronto con la realtà in quanto durezza del vivere: ed ecco allora i toni pasoliniani che si colgono nel “Canto di Milano” o nel “Canto di Roma”, specie davanti a destini, come quelli dei migranti, che sembrano condurre a sconfitte sul piano esistenziale e sociale, mentre possono essere recuperati proprio per la loro grande ricchezza e verità poetica. Da un confronto incessante con le potenzialità del Mondo nasce ancora la cifra più propriamente lirica della raccolta, quella che emerge nella terza sezione, posta sotto il sigillo del Montale degli Ossi – con un verso, “…portami il girasole impazzito di luce”, che peraltro è quasi un unicum nella produzione del poeta ligure, data la sua metaforicità esibita ed eccessiva. Non è certo il neoermetismo a interessare Alessandro Agostinelli bensì la liricità come via privilegiata di contatto, questa volta con il passato, attraverso ricordi e impressioni che devono condurre a un intimismo compiaciuto ma a un netto riconoscimento delle necessità di misurare se stessi e il Mondo per arrivare al “nervo e sapere”, che è in fondo il vero obiettivo di ogni percorso poetico integrale e non solo intellettuale. Nelle tre sezioni in cui si dividono le poesie della Linea Orange si colgono nuclei ricorrenti, soprattutto immagini che condensano almeno alcuni degli elementi sin qui ricordati. Nella prima, quella dei canti di varie città (sul modello, tra gli altri possibili, del campaniano Canto di Genova), è il sogno del volo a costituire un consistente fil rouge: il poeta, nell’intento di identificarsi con ogni aspetto della realtà, desidera in primo luogo di saper volare, di poter incarnare la libertà stessa, però solo dopo un percorso esistenziale che lo porta a riconoscere che la letteratura deve diventare una vocazione profonda per poter incidere sul vivere, sui mondi rappresentati in questi testi – spazi antichi come Volterra o del tutto moderni, come la San Francisco dei grandi beat. È da questo universo di persone e cose che può emergere, a una ricognizione ampia e non predeterminata, la Linea Orange, ovvero l’epifania di un senso chiaro, solare, in grado di attraversare le notti e di segnare una traccia duratura. La vita è forse “una pallina di traverso” nella gola ma, resistendo, si può imparare a volare. La seconda sezione è fatta di brevi prose, dedicate a grandi scrittori o intellettuali, modelli possibili per il poeta. Di ognuno emerge un carattere fondamentale: l’impegno di Sartre, o l’utopia dell’amato Ginsberg, o la sfida all’impossibile di Stevenson. Ma un “sigillo” della ricerca di Agostinelli è forse identificabile nel neologismo creato per il pianista Michel Petrucciani, “pianojazz”, quasi ad indicare una fusione completa, mentale e corporea, di una modalità musicale e di una condizione fisico-psicologica. A questo, probabilmente, punta la poesia di Alessandro Agostinelli, il quale cerca con costanza una verità prima di tutto sensibile, “concreta”, fatta di percezione e soprattutto di gusti. Anche la terza sezione, breve e intensa, torna a manifestare queste propensioni. Si manifesta con forza il tema dell’amore, che potrebbe donare altra intensità alle ricerche del poeta. Tuttavia è ancora il cercare se stesso a essere tematizzato. Desiderare un ricordo, desiderare un contatto: ogni verso implica una quête, un tesoro da scoprire. E insieme, però, una conclusione da accettare, perché bisogna “far fine”, magari con ritmi facili ma dissonanti, come quelli dedicati al “pesce fuor d’acqua d’amore”; oppure con immagini ricche di pathos, come nel finale di “fai la fine al girovagare per amori esiliati”. La condizione comunque è sempre quella di una disponibile attesa: “guardo nel là/per vedere quando ti avvicini” sono versi che commentano l’atteggiamento dell’io in tutta la poesia di Agostinelli.

Alberto Casadei

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